Il femminismo è politica, non religione

Ogni tanto mi guardo attorno e vedo che si ha una percezione molto sbagliata di come si vive il femminismo, e questo coinvolge qualunque corrente del femminismo stesso, anzi, può essere la radice dell’esistenza di quelle fazioni che ormai femminismo non sono più.

Una mia cara amica un giorno mi ha fatto notare che un punto comune di ogni devianza è il confondere il femminismo come religione e non come movimento politico. 

Una delle grandi debolezze dell’uomo è il non saper prendere la politica per quello che è, e trasformarla in un credo. E allora un politico non è più qualcuno da sostenere perché rispecchia le nostre idee, bensì una sorta di santone con cui concordare, da difendere dai cattivi oppositori, anche quando ormai sono passati anni e ha detto tutto e il contrario di tutto.

Ma una deriva non è solo il fanatismo, no, è anche il volersi credere estremamente ortodossi senza però voler cambiare sé stessi. E allora che si fa? Si adegua la religione al proprio comportamento.

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Il femminismo è religione quando si creano nuovi movimenti che si distaccano da quello originale, per adeguarlo alla tua ideologia. Perché non puoi avere una determinata idea che magari non è prettamente femminista e conviverci (non dico metterla in dubbio, fingiamo che tu l’abbia già fatto), no, non esiste. Devi sentirti femminista pura al 100% senza difetti. E allora femminismo del trucco e del parrucco, perché essere femministe non vuol dire smettere di prendersi cura di sé (solo per le donne ci si depila come forma di cura) , e allora il femminismo della maternità a tutti i costi perché sei antiabortista.

Femminista pura senza difetti, e senza distrazioni – perché è femminista anche preoccuparsi della salute dei mammiferi del Madagascar, che sono assolutamente legati all’universo femminile. Anzi, ti dirò di più, se non ti nutri solo di foglie di alberi crude, come faccio io, non sei una vera femminista!

Il femminismo è religione quando ci si fissa sulle mancanze altrui per non dover guardare le proprie (“se non mandi affanculo il tuo capo che è maschilista non sei una vera femminista!” – però lei si trucca e si depila = “dio odia i froci, c’è scritto nella Bibbia!” – la Bibbia si esprime anche contro la masturbazione e lui è riuscito a contrarre una malattia venerea da un virus informatico preso sui siti porno).

Il femminismo è religione quando pretendi che si facciano “sacrifici” per esso. Quando pensi di dover soffrire o che le altre debbano soffrire. Non funziona così. Tu non molli il tuo fidanzato maschilista per fare un sacrificio alla Dea, tu lo molli perché, in teoria, se sei femminista, lui ti fa stare male. Non puoi sopportare il suo maschilismo. Essere femminista è il mezzo, non il fine. È il motivo che ti fa venir naturale fare le cose, non il dio a cui sacrificare la tua esistenza.

E questo è un’altra cosa che genera dei veri e proprio mostri. Da una parte si pretende ortodossia da tutte, la qual cosa è assurda. Non tutte possono permettersi di lasciare il lavoro. Non tutte possono permettersi di rompere con gli amici. Non tutte possono girare struccate, o smettere di depilarsi – gente, in questo mondo ci dobbiamo VIVERE.

980x“Il femminismo è troppo radicale, cioè, detta così sembra quasi che io sia imperfetta come femminista perché mi alzo alle quattro per truccarmi anche se devo andare a buttare la spazzatura, ma questo non può essere! Io sono una vera femminista!”

Anche io penso che non si dovrebbero accettare le condizioni di lavoro svilenti proposte in Italia, perché così si ha un continuo ricambio di stagisti usa-e-getta, ne butti fuori uno e ne prendi un altro. Però, guarda un po’, i giovani non possono vivere a spese dei genitori per sempre, i giovani hanno bisogno di esperienza, e soldi, anche quattrocento euro cagati.

Un’altra conseguenza sono quelle che ragequittano il femminismo perché non riescono a fare questi “sacrifici” , oppure perché sanno che dovrebbero, non riescono, e allora incolpano le analisi femministe di avercela personalmente con loro. Leggono post del tutto generici che analizzano un qualcosa e si sentono personalmente attaccate, come se a non essere 100% femministe pure in qualunque cosa (dobbiamo dormire in modo femminista! Mangiare femminista!) allora non meriti di vivere. È il senso di colpa della peccatrice. Ma il femminismo non è una religione.

E, per finire, il femminismo è una religione quando si esaurisce nel condividere tre post su Facebook e poi basta, niente riflessione, nulla. Vai a messa la domenica, ti confessi due volte all’anno, tutto perdonato – e fai il cazzo che vuoi senza mai riflettere.

È forse la perversione più subdola e sottile, perché sembra contraddire quello che ho detto finora. Ma come? Direte voi. Hai appena criticato chi pretende ortodossia da sé stesso o dagli altri! Hai appena detto che il femminismo viene da dentro!

E qui casca l’asino. Appunto. Il femminismo viene da dentro. Non è una cosa che puoi imporre agli altri e a te stessa. Ma è anche vero che, se dopo anni di femminismo, in te non è cambiato un accidenti, fai le stesse cose di prima – e non perché sei costretta dalle circostanze – e la tua forma mentis è invariata, forse è bene che ti fai due domande. A cosa ti è servito il femminismo?

Il femminismo non è il sorrisetto compiaciuto e vagamente autoironico di chi sa di sgarrare (se si può chiamare “sgarro” qualcosa di continuo e ininterrotto) ma “che ci vuoi fare, io sono fatta così! Sono un disastro, eheh!”. 

Perché puoi essere impossibilitata ad agire in modo femminista, ma il femminismo o ce l’hai dentro o non ce l’hai. Puoi svegliarlo, puoi crearlo, puoi nutrirlo, ma ci deve essere.

Puoi essere la schiava più umiliata ma dentro di te sei libera. 

O puoi essere una schiava che si finge autoconsapevole della propria schiavitù, ma che, di fatto, lascia che anche la sua mente rimanga in catene.

E ditemi se c’è qualcosa di più infido di un finto disincanto, una finta razionalità, un finto cinismo che ti portano ad autodistruggerti col sorriso sulle labbra, il sorriso di chi la sa lunga.

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